Patrizia Valduga.

Qui a Modena è stagione di Festival.
Prima la Filosofia, poi la Poesia. Il primo è passato, come ormai da qualche anno, in modo indolore. Penso sia un'esperienza inebriante la prima volta, poi come tutte le cose, passa un po' in sordina. A noi modenesi rimane il lusso di scegliere, per un paio di week-end, in un carnet piuttosto affollato di appuntamenti, reading e conferenze. Domenica, complice un bellissimo pomeriggio di sole, ho assistito all'incontro con Patrizia Valduga alla Rocca di Vignola.
Patrizia è una donna estremamente affascinante. Ed è una poetessa (è anche una traduttrice d'eccezione ma questo è un altro discorso), il che, come dire, non guasta. L'intervista è stata divertente, sopra le righe, splendidamente disordinata. La parte più propriamente poetica è stata incredibile.
Da anni non sentivo recitare versi con un'intensità simile. Da anni non sentivo recitare versi in effetti e, da anni, la mia soglia di 'attivazione emotiva' è molto bassa. Ma tant'è.
Qualcuno entrando a metà incontro si è ritirato prontamente in corridoio, ridacchiando. Qualcuno ha storto il naso. Io mi sono praticamente commosso. Com'è, come non è, la poesia, come il teatro (e forse anche come il cinema), è solo questione di stare al gioco. A me piace accettare le regole dei giochi altrui, quindi è stato facile.
Da adesso in poi leggerò i versi della Valduga con la sua voce in mente, e questo, credo, possa essere un motivo sufficiente per apprezzare questa poesia in forma di Festival.

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