Dicevo che stavo leggendo "I Cani di Riga" di Mankell.
La serie dedicata all'ispettore Wallander gode di una certa dose di fortuna per quanto mi riguarda. Il primo libro l'ho letto in viaggio di nozze in Svezia, contesto psicologico e geografico assolutamente ideale. Le copertine poi mi piacciono davvero molto nella loro semplicità un po' offensiva e anche la carta un po' grigia dell'edizione tascabile (non MAXI) non è affatto male. Non sono cose trascurabili perchè, alla fine, l'oggetto libro è fatto di tante cose, il testo, almeno per me, è solo una di tante. Forse la più importante, ma non sempre.
(alcune pagine del Signore degli Anelli sono e rimangono un pacco, ma averle lette di nascosto sotto le coperte con una lucina a molla dal voltaggio ridicolo le rende praticamente immortali.)
La saga di Wallander dicevo.
L'ho letta in disordine. Penultimo, secondo e ora il quinto. Ma non importa più di tanto. Mi sto perdendo forse la graduale evoluzione del personaggio, del suo rapporto col padre e con la figlia, del suo precario stato di salute... ma tutto sommato non è un problema.
E questa tutto sommato non è neanche una recensione de "I Cani di Riga". Non li recensirò tutti ad uno ad uno ma avevo comunque voglia di parlarne perchè rappresentano una magistrale narrazione dei percorsi mentali e del progressivo lavoro di ricostruzione che caratterizza il lavoro di indagine come tutti lo immaginiamo. C'è il dipartimento di polizia, ci sono i problemi sindacali, i turni, tutto ciò che fa grande un certo tipo di procedural appunto. Ma c'è anche la voglia di parlare del mondo, di uscire dalla Svezia, ogni tanto, con inserti di azione internazionale.
Ne "I cani di Riga" ci troviamo per dire sbalzati a Riga in una parte di romanzo che ha quasi dell'incredibile per lo scarto di ritmo che produce rispetto alla precedente, tanto che potrebbe sembrare quasi posticcia se non fosse che, in ultima analisi, è la quiete esatta e rasserenante dell'ambientazione principale a essere in qualche modo "fuori tono". Nei romanzi che ho letto finora la gente muore, ovviamente. Ci sono anche dei serial killer. Ma c'è anche uno scenario sociale che, per quanto in caduta libera verso una progressiva barbarie (almeno secondo l'autore), risulta talmente confortevole da creare delle fortissime differenze di intensità e di ritmo all'interno della narrazione.
Sopra a tutti, trnoeggia lui, Kurt Wallander, commissario rotondetto e umanissimo, incredibilmente noir nel suo costante travaglio personale, nel suo umano soffrire e nel suo intestardirsi oltre misura.
C'è davvero un po' di tutto nei romanzi di Mankell, l'esotismo dolente di una nazione dove le cose, (fino a prova contraria) funzionano, un protagonista noir ma non dissennatamente autodistrittivo, uno sviluppo serrato e realistico nel racconto delle indagini e qualche impennata di genere, che non guasta mai. Consigliato, soprattutto in vista dell'estate.
Finito Mankell e la Holt giuro che recupero in modo più filologico la questione del noir nordeuropeo.
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